Contributo CBDC Mottura

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La Central Bank Digital Currency: opzioni e criticità, tra wallet e conto

Cbdc and Digital Euro: token-based or account-based?

Paolo Mottura, Università Bocconi


Numerose banche centrali, tra cui la Bce, stanno ipotizzando la creazione di una moneta pubblica digitale, che potrebbe assumere forme molto diversificate e avere quindi valenze e impatti assai differenti. In particolare, le conseguenze sulle banche e sul credito potrebbero essere destabilizzanti se venisse creata una Cbdc basata su un conto digitale vero e proprio, largamente diffuso tra il pubblico, assortito di diversi servizi, con la possibilità di trasferire liquidità a distanza. Altri complessi problemi, di natura tecnica, di sicurezza e di privacy, potrebbero porsi nel caso di una soluzione tokenbased, centrata su un portafogli digitale (wallet). Sono quindi necessarie attente valutazioni sia tecnico-giuridiche, sia in ultima istanza politiche, per effettuare una scelta che da un lato mantenga la funzione sociale unificante della moneta legale, dall’altro non comprometta il credito all’economia e la relazione collaborativa consolidata (e non competitiva) tra Banche Centrali e banche private.

Many Central banks, including the Ecb, are considering the creation of a Digital public currency, which could take very diversified forms, and therefore have very different meanings and impacts. In particular, the consequences on banks and credit could be disruptive if a Cbdc were created based on a full-fledged digital account, widely spread among the public, including many features, able to transfer liquidity remotely. Other issues, of technical, security and privacy nature, may arise in the case of a token-based solution. Careful technical-legal and ultimately political assessments are therefore necessary to make a choice that on the one hand maintains the unifying social function of legal money, on the other hand does not compromise credit to the economy and hamper the consolidated (and non-competitive) collaborative relationship between Central banks and private banks.

1. Il quadro tematico e l’approccio di analisi

Da qualche tempo idee e proposte per l’istituzione della Central Bank Digital Currency – nota con l’acronimo Cbdc – sono oggetto di analisi e discussione nell’ambito dei più importanti sistemi monetari nazionali e sovranazionali (Kosse e Mattei, 2022). L’Area dell’euro non fa eccezione (Ecb, 2020). I contributi in argomento aumentano, provenendo dagli ambienti delle Banche Centrali (d’ora in poi indicate anche come Bc) e da quelli accademici e della ricerca. Ciò arricchisce il dibattito, in ampiezza e in profondità, ma si avverte un crescente bisogno di chiarezza. Gli obiettivi non sono ancora chiari come non è affatto chiaro a chi competa la decisione istitutiva. Le Bc, in quanto istituzioni monetarie apicali, hanno messo sul tavolo il tema, indicando motivazioni e possibili modelli tecnici e funzionali di Cbdc, ma non hanno certamente poteri e autorità decisionali in proposito. La decisione è soprattutto politica e dunque appartiene agli organi in proposito competenti. Il fatto che l’argomento sia contemporaneamente oggetto di analisi tecnica e di valutazione di opportunità politica complica non poco il quadro: l’esame della letteratura rivela che gli argomenti di natura tecnica vengono non raramente sviluppati con pregiudizio politico e sottintendono premesse ideologiche.

Il termine «moneta digitale» della Bc può assumere significati più o meno ampi. Da un lato esso può indicare, in senso stretto, solamente la soluzione tecnica della digitalizzazione delle banconote. Dall’altro lato esso sta a significare una nozione assai più ampia, quella di una moneta digitale di uso universale per tutti gli agenti economici e per tutte le transazioni immaginabili, al dettaglio e all’ingrosso, in condizioni di prossimità oppure di distanza fisica dei soggetti interessati. Diverse e molteplici sono le considerazioni che suggeriscono una non affrettata revisione critica dell’argomento. I diversi tipi di moneta pubblica digitale non sempre vengono correttamente distinti e trattati per la loro specificità. Il quesito se esista, da parte del pubblico, una domanda di moneta pubblica digitale non viene posto, anzi viene confuso con il fenomeno – di cui si tratterà – del declino dell’uso del contante. È diffusamente presente l’impronta della moda tecnologica della digitalizzazione: da un lato si osservano delle fughe in avanti generate da un’immaginazione che non sottostà alla considerazione dei vincoli tecnici e dall’altro, nel mondo della realtà virtuale, si danno per possibili impianti tecnologici avveniristici, senza valutarne la fattibilità tecnico-economica. Il fatto che esistano ancora banconote cartacee in circolazione viene ormai acriticamente considerato anacronistico, particolarmente in presenza della incessante invenzione (e fallimento) delle cryptocurrency, nella sottospecie delle stablecoin. È pure piuttosto diffusa l’opinione che la moneta bancaria – in quanto prodotta da imprese private e nonostante il continuo progresso della funzionalità dei suoi strumenti operativi – sia una realtà storicamente matura, destinata a essere superata da forme monetarie tecnologicamente più avanzate. Meno diffusa ma ben presente è l’opinione che la moneta – in quanto oggetto di interesse pubblico – non dovrebbe essere prodotta da imprese private guidate da soggetti economici che perseguono obiettivi privatistici. Scarsa attenzione viene dedicata al problema dei rischi della moneta pubblica digitale, riferibili sia alla vulnerabilità del suo impianto tecnico sia alle sue potenziali esternalità negative a carico del sistema finanziario. Se ne parla e si conclude ottimisticamente che esse sono gestibili, senza peraltro adeguati approfondimenti. L’esame della letteratura in argomento lascia nel lettore la sensazione che ormai prevalga la convinzione che «si vuole e si deve fare» la Cbdc. In ogni caso prevale la convinzione che la moneta pubblica non potrà sfuggire all’imperante progresso tecnico e dunque alla trasformazione digitale. Un destino inevitabile. Al riguardo, la pacata prudenza ostentata dalle Bc – che doverosamente suggeriscono cautela, ulteriore ricerca, approfondimenti e verifiche – assume una certa connotazione conservatrice. Tuttavia la questione vera e dirimente è un’altra: la Cbdc, così come viene progettata e proposta, risponde a bisogni reali e funziona egregiamente? L’intento di questo articolo è dunque, in prima istanza, fare un’analisi e una verifica dei fattori e delle situazioni che vengono normalmente presentati come motivazioni della digitalizzazione del contante e dell’istituzione della Cbdc. Tali motivazioni non appaiono infatti tutte egualmente convincenti e fondate. Certamente esse non sono cogenti. L’articolo focalizza poi l’attenzione sul problema specifico e particolare della digitalizzazione del contante, cioè delle banconote, distinguendolo nettamente dalla nozione – assai più generale, per così dire universale – di una Cbdc destinata a tutti gli usi possibili e a tutti gli agenti economici, per ogni immaginabile scopo. Infatti il tema della Cbdc riceve trattazione separata e specifica. L’architettura narrativa persegue l’obiettivo di mettere in chiara evidenza che i modelli di moneta pubblica digitale sono in realtà diversi in relazione sia alla risposta che danno al declino dell’uso delle banconote, sia alla tecnica di realizzazione, sia agli impatti sull’assetto monetario e sulle istituzioni monetarie esistenti. La Cbdc non è semplicemente un’innovazione tecnica. Essa è anche, e soprattutto, sia un’innovazione istituzionale a vasto impatto sulla realtà monetaria presente sia, quindi, una scelta sostanzialmente strutturale e politica. Per queste ragioni si è voluto collocare il tema su un ampio sfondo che fa riferimento da un lato al quadro storico della formazione dell’assetto monetario attuale e dall’altro al modello formale del moltiplicatore monetario che definisce le relazioni di equilibrio fra base monetaria, riserve bancarie, moneta bancaria e credito bancario in presenza di date pro pensioni dei macro-operatori rispetto alla detenzione dei vari tipi di moneta. L’analisi finale della fattibilità di una moneta pubblica digitale consiste comunque nella verifica della possibilità di coesistenza di due condizioni essenziali. Da un lato, che la circolazione della Cbdc possa raggiungere dimensione tale da realizzare economie di scala ed effetti rete adeguati e sostenibili nel lungo periodo. Dall’altro lato, e nello stesso tempo, che il raggiungimento di questa dimensione non comprometta in modo irreversibile la stabilità del sistema bancario a causa del deflusso di depositi e della corrispondente diminuzione delle riserve di liquidità. Si cercherà di dare risposta a questo essenziale interrogativo. Va qui ricordato che le Autorità monetarie hanno finora sempre confermato di voler tutelare la stabilità in caso di emissione della Cbdc. Tuttavia la sostenibilità effettiva di questa affermazione non è stata ancora ben valutata, e tanto meno dimostrata.

2. Formazione e caratteri dell’assetto monetario vigente

I sistemi monetari attuali si fondano sulla ormai storica combinazione di due monete, l’una pubblica emessa dalla Bc, l’altra privata prodotta dalle banche commerciali. La prima, che contabilmente costituisce una passività della Bc, assume due forme: i depositi (riserve) delle banche e le banconote in circolazione e in possesso degli agenti economici. La funzione monetaria principale delle riserve bancarie consiste nel regolare – tramite la Bc – le partite credito-debito interbancarie e nel fare fronte alle richieste di banconote da parte dei clienti delle banche. Si noti, in tal caso le riserve vengono ovviamente convertite in banconote. Infatti, le riserve hanno esclusivamente natura contabile e immateriale e il loro trasferimento viene attuato esclusivamente in modo elettronico. A tutti gli effetti, le riserve sono moneta digitale circolante nel circuito ristretto che connette la Bc con le banche e costituiscono il nucleo centrale della liquidità del sistema finanziario. Le banconote emesse dalla Bc a uso degli agenti economici hanno le note funzioni di unità di misura del valore (unità di conto), di mezzo di pagamento e di strumento di conservazione del valore nel tempo.

Aprendo una brevissima parentesi rispetto al tema trattato, conviene enunciare subito la nozione di digitalizzazione. L’unica moneta che può essere digitalizzata è l’attuale moneta pubblica cartacea, le banconote. Infatti, sia le riserve bancarie sia la moneta bancaria sono già smaterializzate, elettroniche o, come si preferisce dire oggi, digitali. In senso stretto e in senso proprio, digitalizzare la moneta esistente significa, in prima istanza, realizzare un omologo digitale delle banconote o, come si dice, del contante replicandone – per quanto tecnicamente possibile – le funzioni. Ciò corrisponde a un principio del tutto condivisibile di equivalenza funzionale. È necessario tener fin d’ora ben presente questo principio e le sue implicazioni per definire chiaramente la «moneta digitale della Bc». L’altra moneta, quella bancaria, è già digitale. Quindi introdurre una central bank digital currency con funzioni di pagamento e caratteri di trasferibilità equivalenti alla moneta bancaria – come si è detto, già digitale – significherebbe di fatto sostituire quest’ultima. Sostituzione che dovrebbe essere argomentata e giustificata con motivazioni diverse dalla digitalizzazione.

Accertato che la nozione di digitalizzazione può essere variamente intesa e applicata, è ora utile ripercorrere gli aspetti salienti dell’origine, della storia e della trasformazione della moneta per comprendere come la Cbdc si inserisca nell’assetto monetario attuale.

La funzione di pagamento della moneta bancaria ha origine dal deposito bancario. Mediante il deposito le banche offrivano servizi di custodia di valori solitamente rappresentati da monete metalliche coniate, perciò moneta pubblica contraddistinta dal conio dell’Autorità politica. Col tempo le banche offrirono ai propri clienti depositanti servizi di trasferimento dei valori depositati. In proposito emblematico è il caso dei banchi di giro a Venezia nel Trecento (Lane e Muller, 1985). Successivamente entrò in uso la consegna delle ricevute attestanti i depositi come modalità di trasferimento dei valori corrispondenti. La funzione monetaria della ricevuta di deposito divenne evidente. Vanno notati tre aspetti cruciali ed essenziali: la moneta bancaria privata nasce «per sostituzione» di quella pubblica, questa sostituzione ha fondamento nell’obbligo di conversione a vista della moneta bancaria in quella pubblica, e la convertibilità è fiduciariamente creduta in relazione alla reputazione del banchiere.

Molto tempo dopo, verso fine Settecento, il banchiere diede ulteriore dimostrazione di innovativa imprenditorialità con l’emissione dei biglietti di banca a fronte dei depositi di moneta coniata. Il biglietto di banca «pagabile a vista al portatore» aveva – rispetto alle ricevute di deposito – una trasferibilità più rapida ed efficiente mediante la semplice consegna del documento cartaceo. I cambiamenti conseguenti furono macroscopici. La sostituzione della moneta bancaria privata a quella pubblica aumentò in misura considerevole, così definendo una condizione di circolazione monetaria binaria, caratterizzata da un rapporto crescente fra quantità di biglietti di banca a quantità di moneta metallica pubblica. La situazione di diffusa accettazione di biglietti di banca offrì al banchiere la concreta opportunità di fare credito consegnando propria moneta, biglietti, al soggetto finanziato e, d’altra parte di trattenere moneta metallica a scopo di riserva a fronte dell’eventuale richiesta di conversione dei biglietti. La minor frequenza di tali richieste consentì al banchiere di aumentare la produzione di credito e l’emissione di biglietti a parità di riserve detenute. Giunse così a perfezione, nell’Ottocento, il modello bancario moderno della produzione congiunta di credito e di moneta a riserva frazionaria, o fractional reserve banking (Mottura, 2019). In parallelo aumentarono i rischi di insolvenza e di illiquidità della banca, particolarmente nei cicli congiunturali avversi.

Nel clima descritto trova dunque spiegazione la decisione dell’Autorità pubblica – in tempi diversi nel corso dell’Ottocento, ma pressoché ovunque – di nazionalizzare e accentrare l’emissione di biglietti in istituti di emissione pubblici, poi Banche Centrali, o in banche autorizzate. Fu un’inversione di tendenza marcata rispetto al passato, ma destinata a breve durata. I biglietti di banca privati cessarono di circolare ma non furono effettivamente sostituiti dalle banconote di pubblica emissione. Le banche rigenerarono il loro sperimentato modello di produzione rifondando la funzione monetaria sull’offerta – a fronte del conferimento di banconote pubbliche – di depositi in conto corrente trasferibili con assegni (ordini di pagamento a terzi). L’assegno, strumento di pagamento, consacrò la funzione monetaria dei depositi bancari a vista, i quali assunsero il carattere di moneta scritturale, cioè una moneta i cui trasferimenti trovano esecuzione in scritture contabili di addebito e di accredito determinate rispettivamente da ordini di pagamento emessi o incassati.

Il sistema della moneta bancaria si perfeziona gradualmente come sistema di pagamenti prevalente e universale. Da un lato la necessità di attuare con efficienza e sicurezza il clearing e il settlement delle posizioni interbancarie di credito e di debito conseguenti all’accredito/addebito di assegni presso banche diverse porta alla creazione di un sistema di stanze di compensazione. In queste sono presenti le Bc con la funzione di regolare i trasferimenti interbancari, eventualmente imprestando riserve alle banche bisognose di liquidità. Dall’altro lato il progresso tecnologico rende possibile il superamento dell’assegno e la diffusione di strumenti elettronici evoluti di credit transfer, come i bonifici elettronici, gli ordini permanenti di addebito, le carte di credito e di debito, quelle prepagate. I registri contabili da cartacei diventano elettronici, cioè digitali. La moneta bancaria scritturale diventa a tutti gli effetti digitale. Da notare una circostanza assai importante: in posizione di snodo centrale del sistema dei pagamenti privati si trovano proprio le Banche Centrali, istituti pubblici di emissione di banconote. Il quadro descritto e la narrazione della sua evoluzione storica non lasciano adito a dubbi e danno fondamento ad alcune interpretazioni conclusive particolarmente importanti: gli attori del sistema monetario, la Banca Centrale e le banche commerciali, hanno sviluppato ruoli monetari diversi; le loro rispettive monete sono il risultato di un processo storico di specializzazione; esse sono complementari e simbiotiche; la moneta bancaria privata dipende da quella pubblica; il funzionamento del sistema monetario a due livelli è sostanzialmente fondato su una relazione collaborativa consolidata, e ormai storica, fra Banca Centrale e banche.

Queste ultime sono del resto autorizzate e regolate proprio in ragione della loro esclusiva e specifica funzione monetaria

Ci si deve comunque chiedere se questo sistema monetario e dei pagamenti sia soddisfacente oppure siano presenti aspetti di criticità meritevoli di pubblico intervento. Per consuetudine i parametri di valutazione generalmente accettati fanno riferimento all’efficienza, ai costi e ai rischi. La consultazione dell’amplissima letteratura in materia – che non può essere qui citata in maniera rappresentativa – esprime complessivamente un giudizio positivo, pur evidenziando spazi significativi di miglioramento. In particolare, si concorda che i pagamenti internazionali sono ancora complicati e macchinosi, oltre che costosi, che in generale le commissioni applicate ai pagamenti potrebbero essere minori in presenza di maggiore competizione fra i produttori di servizi, che vi è spazio per conveniente innovazione tecnologica, che i rischi informatici sono concreti e potrebbero essere meglio prevenuti e mitigati. Nell’insieme, tutto ciò è nell’ordine delle cose. Gli spazi di miglioramento esistono e vanno tempestivamente colmati, ma non si può certamente affermare che il sistema debba essere radicalmente riformato. Le istituzioni centrali sono le banche commerciali, molto regolate ma comunque esposte – in quanto imprese di mercato – al rigore della concorrenza e alle sue conseguenze, con ovvi vantaggi per il consumatore. Non pare tuttavia che le crisi bancarie, gestite sotto controllo pubblico, possano effettivamente minacciare la stabilità istituzionale della moneta e del sistema dei pagamenti.

Si deve quindi ribadire che il problema di una riforma radicale del sistema monetario a due livelli non è argomento di attualità e che la moneta bancaria privata gode di pieno riconoscimento da parte delle Bc. Può tuttavia essere alternativamente argomentato e sostenuto il merito di un sistema monetario fondato esclusivamente sulla moneta pubblica, motivando chiaramente le ragioni della soppressione della funzione monetaria delle banche. In questo ambito, definito da due scenari nettamente diversi, assume significato chiaro e preciso l’alternativa – in seguito approfondita – fra due nozioni del tutto distinte di central banking digital currency. L’una, limitata, si riferisce esclusivamente alla digitalizzazione della moneta pubblica attualmente caratterizzata da materialità cartacea o metallica, banconote e monete. L’altra, assai più estesa, è viceversa dotata di funzionalità di pagamento universale, in evidente alternativa alla moneta bancaria.

3. Cbdc, base monetaria ed effetti sul moltiplicatore monetario

La storia della moneta insegna dunque che nei sistemi economici avanzati la moneta bancaria ha ormai assunto posizione dominante, precisamente in ragione del fatto che le banche hanno gradualmente sviluppato – rispetto alle banconote, moneta legale – funzioni d’uso distintive della moneta bancaria innovative, efficienti, efficaci: essenzialmente, custodia e servizi di pagamento in una gamma ampia e diversificata di soluzioni, dall’assegno al bonifico, dal credit transfer all’addebito automatico, dalle carte di vario tipo (credito, debito e prepagate) all’accesso tramite Atm alla valuta nazionale e a quelle estere. In sintesi, le banche commerciali hanno dato prova di lungimirante imprenditorialità – condivisa a livello di sistema e pure favorita dalle Bc – e si può senza dubbio affermare che la circolazione della stessa moneta legale inizia dagli e finisce negli sportelli bancari, per gran parte mediante operazioni di prelievo e versamento tramite Atm. Il circuito della moneta legale è concretamente amministrato dalle banche, alle quali si rivolge la domanda di moneta legale. La domanda di credito, se accolta, dà impulso alla produzione di moneta bancaria. Nella realtà attuale tutto ciò è facilmente osservabile: con una perseverante gestione degli incentivi offerti alla loro clientela le banche commerciali sono la causa primaria del declino dell’uso delle banconote. Per comprendere che il processo di sostituzione della moneta bancaria a quella legale è ormai praticamente giunto al termine è sufficiente chiedersi – forse provocatoriamente – se il settore bancario, inteso come aggregato di banche, abbia ancora opportunità di farsi depositare nuova moneta legale. La risposta è senza dubbio negativa. La cospicua massa – attualmente osservabile e di cui si parlerà nel paragrafo successivo – di moneta legale, di banconote, fuori dai circuiti bancari non contraddice questa lettura. Si tratta infatti in larga parte di moneta custodita da soggetti che non intendono affatto avvalersi di moneta bancaria per insuperabili ragioni di diffidenza, per innata consuetudine al tesoreggiamento, e per altrettanto insuperabili ragioni di anonimato di «certe» transazioni. Si noti che tali ragioni valgono solo per particolari e ben specifici segmenti di agenti economici.

Tutto quanto detto assomma in sintesi all’affermazione che, nell’attuale assetto monetario, la propensione del pubblico – la si denomini p – a tenere un dato rapporto fra banconote e depositi a vista è già ai valori minimi, pur essendovi qualche spazio per ulteriore declino. Ciò equivale a dire che il declino dell’uso del contante – di cui si parlerà ampiamente nel prossimo paragrafo – è già in gran parte avvenuto. In questa situazione la domanda del pubblico di convertire depositi in banconote è marginale. Pertanto le banche hanno ridotto le proprie riserve per fare fronte a tale domanda. Ciò non significa che pure la propensione delle banche – la si chiami b – a tenere riserve liquide presso la Bc sia diminuita in misura corrispondente poiché la funzione essenziale delle riserve consiste nel proteggere la liquidità della gestione della banca, e in particolare della sua eventuale posizione debitoria sul mercato interbancario. Le variabili indicate – considerate a livello del sistema bancario e non della singola banca – concorrono a definire i moltiplicatori dei depositi e dei crediti, data una certa quantità di moneta pubblica (banconote in circolazione e riserve bancarie), nota come base monetaria, o M1. Senza aggiungere spiegazioni di dettaglio (in proposito si rinvia a Mottura 2019), i moltiplicatori assumono la seguente configurazione, indicando i depositi con D e i crediti con C:

- la massima espansione di crediti bancari producibile è:

C = M1 x [(1 – b)/(p + b)]

- la massima espansione dei depositi bancari a vista è:

D = M1 x [1/(p + b)]

Da entrambe le equazioni si desume che – data una certa quantità di base monetaria disponibile – ripartita fra pubblico e banche, le quantità di crediti e di depositi sono inversamente proporzionali a p, cioè alla propensione del pubblico a tenere un certo rapporto ottimale fra moneta legale e depositi bancari. Il riferimento storico è importante: il modello del moltiplicatore ora esposto nella sua rappresentazione più semplice è noto agli economisti dal 1934, quando James Meade, poi vincitore del Premio Nobel nel 1977, ne pubblicò la prima formalizzazione.

L’emissione di Cbdc determina, a parità di altre condizioni, sia l’aumento di M1 sia quello di p. Nel caso che la moneta legale digitale pubblica di nuova emissione venga acquistata dai depositanti con pagamento di moneta bancaria (non potrebbe accadere diversamente) la propensione (p) del pubblico a tenere moneta legale aumenta, con proporzionale effetto di diminuzione dei crediti e dei depositi bancari. Al riguardo vanno fatte due notazioni. La prima: nella letteratura ufficiale rilevante per la Cbdc – per esempio il Report on a digital euro dell’Ecb (ottobre 2020) – non si fa stranamente alcuna menzione di questo importante e chiaro riferimento teorico. La seconda: l’aggiustamento dinamico dell’equilibrio di stato patrimoniale del sistema bancario al nuovo valore di p è ben più destabilizzante di quanto la formulazione del moltiplicatore istantaneo lasci intuire secondo la logica della statica comparata. Infatti, dinamicamente, la conversione di moneta bancaria in Cbdc comporta immediato ed equivalente trasferimento di riserve dalle banche alla Bc.

Per maggiore chiarezza e pur a rischio di ripetizioni, le considerazioni precedenti conducono inevitabilmente ad alcune conclusioni del tutto evidenti e assai importanti:

- con l’emissione di moneta legale digitale la Banca Centrale aumenta la base monetaria, M1;

- la moneta legale digitale emessa è destinata esclusivamente al pubblico che la può acquistare con pagamento di moneta bancaria e, in misura assai minore, di banconote;

- le banche subiscono «perdite» di riserve e potrebbero eventualmente competere sollecitando depositi di Cbdc offrendo condizioni vantaggiose: la relazione fra la Bc e le banche commerciali diventerebbe concorrenziale e governata con logica di mercato da entrambi gli attori, con netta inversione rispetto al precedente paradigma «collaborativo»;

- in tal modo la Bc attuerebbe una politica in netta ed evidente contrapposizione alle banche, le quali – come è stato spiegato – hanno sempre sviluppato strategie mirate a favorire l’uso della loro moneta creditizia, in sostituzione del contante, con il pieno ed esplicito appoggio della Bc;

- quindi, la Cbdc – avendo comunque un effetto sostitutivo della moneta bancaria – si pone in diretta collisione con il modello di produzione e di business delle banche.

Il problema di fondo, essenziale, è e sarà perciò la relazione – o il rapporto di sostituzione – fra Cbdc e moneta bancaria. In proposito occorre assolutamente fare chiarezza: la Cbdc sarà disegnata per offrire solo alternativa al contante, alle banconote cartacee, oppure svilupperà anche funzionalità general purpose e dunque equivalenza funzionale rispetto alla moneta bancaria e perciò capacità competitiva rispetto alla stessa?

4. Il declino dell’uso del contante. Un’interpretazione più articolata

La letteratura, pure quella specifica e ufficiale (ad esempio, Ecb, 2020), indica in questo declino la motivazione principale dell’introduzione di una Cbdc al dettaglio. L’intento è che quest’ultima ristabilirebbe la perduta centralità della moneta pubblica, della Bc, nel regolamento degli scambi al dettaglio. Una visione decisamente parziale – e pure contraddittoria – perché non considera due aspetti fondamentali: da un lato il fatto che la quantità di banconote in circolazione cresce costantemente, dall’altro lato che esse svolgono funzioni importanti, diverse da quella del pagamento alla quale si riferisce il declino.

Con riferimento al primo aspetto si consideri un solo dato: a fine 2021, nell’Area dell’euro, l’ammontare del valore nominale pro-capite delle banconote in circolazione ammontava a 4.500 euro, a fronte di 2.700 euro nel 2011 (+5,24% annuo). Le cifre sono arrotondate, ma puntualmente riscontrabili rapportando le banconote in circolazione al numero dei cittadini dell’Area dell’euro. Che se ne fanno questi ultimi – dai neonati ai vegliardi – di tale cospicua e crescente disponibilità media individuale? Il dato comunque contraddice in parte l’affermato declino. In realtà non vengono considerati gli usi alternativi.

Passando a questo secondo aspetto, è noto a tutti che le banconote vengono oggi più usate che in passato per conservare e accumulare valore nel tempo (tesoreggiamento) e per tutti gli scopi perseguiti dai soggetti che desiderano una condizione di anonimato e di non tracciabilità. Questi fenomeni, che non si prestano ovviamente a misurazioni analitiche e specifiche, non sono affatto marginali. Anzi, al contrario, si tratta di usi crescenti, fattori di aumento della domanda di banconote, ma da parte di segmenti socioeconomici particolari della popolazione, il cui comportamento non può essere generalizzato

La maggioranza del pubblico preferisce oggi usare moneta bancaria, in sostituzione del contante, per evidenti motivi di utilità, convenienza, comodità e non certo per carenza o rarefazione del contante stesso, ampiamente accessibile. L’attuale svolgimento degli scambi e dei pagamenti non supporta l’ipotesi che il pubblico farebbe volentieri uso di una moneta pubblica digitale. Dunque non vi sono argomenti per sostenere che vi sia una diffusa domanda insoddisfatta di contante digitale, di Cbdc. Vi sono piuttosto ragioni per sostenere che sia proprio l’istituzione statuale – nella fattispecie rappresentata dalla Bc – ad avere un interesse preminente a che la moneta pubblica rimanga robusto cardine del sistema monetario e che essa continui a essere – pur con diversa forma – riferimento centrale della vita economica.

Il declino della circolazione visibile delle banconote – pur corrispondendo alle preferenze del pubblico – segnala cambiamenti importanti e di natura non solo economica. In altre parole, esso esprime significati profondi. La moneta, metallica o cartacea, è stata nella storia sia simbolo del potere politico e dell’autorità giurisdizionale (effigie e conio del sovrano) sia strumento di condivisione dell’identità sociale. Si potrebbe obiettare che il cittadino, sempre più orientato all’uso della moneta bancaria, è sempre meno consapevole del valore simbolico della moneta pubblica materiale. Tuttavia, così non è poiché il cittadino usa «far di conto» con i simboli delle banconote, essendo del tutto convinto che la moneta bancaria è del tutto equivalente, in forza della sua convertibilità, supposta tutelata dalla giurisdizione di appartenenza. Prova ne è che durante le crisi bancarie i depositanti della banca ritenuta a rischio in genere non prelevano contanti bensì trasferiscono i depositi presso altre banche. Ciò dimostra che la condizione di convertibilità è tanto fermamente creduta da non dare seguito all’esercizio del diritto di conversione. Dunque, la convertibilità – pur mantenendosi sempre allo stato potenziale – è essenziale condizione di stabilità del sistema monetario a due livelli. Non se ne può assolutamente prescindere. Ciò purtroppo comporta che l’impianto organizzativo e operativo per la conversione materiale dei depositi bancari in banconote, per quanto complesso, articolato e oneroso, deve essere mantenuto in assenza di un’efficiente alternativa.

La moneta pubblica digitale offrirebbe alternativamente il grande vantaggio di rendere più facile e meno costoso il processo di conversione della moneta bancaria, potendo prescindere da ogni materiale trasferimento. Nonostante che il pubblico esprima attualmente una crescente preferenza per la moneta bancaria – a prescindere dagli usi «particolari» delle banconote – un meccanismo di conversione deve comunque essere sempre disponibile, per sostenere la credibilità della moneta bancaria. Con parole diverse Panetta (2022a), membro del Comitato esecutivo della Bce e Presidente del gruppo di lavoro del Report on a digital euro, afferma: Issuing Cbdcs is likely to become a necessity to preserve access to public money in an increasingly digital economy.

5. Il contante digitale: token e digital wallet

Si è prima spiegato che a fronte del declino dell’uso delle banconote nei pagamenti non si ha prova che il pubblico esprima una domanda alternativa di contante digitale. Semplicemente i comportamenti di pagamento dimostrano la tendenza del pubblico a preferire strumenti di pagamento elettronici tipicamente imperniati sulla moneta bancaria. L’opportunità di procedere tempestivamente alla digitalizzazione delle banconote ha, come si è già detto, fondamenti diversi: da un lato l’obiettivo della Bc che una sua passività monetaria possa essere sempre disponibile al pubblico e presente nei portafogli degli agenti economici; dall’altro lato la necessità di rendere tecnicamente attuabile la convertibilità della moneta bancaria con quella pubblica, prescindendo dall’oneroso impianto organizzativo materiale necessario per la consegna delle banconote cartacee. Si consideri pure che l’obsolescenza di questo impianto si verificherà rapidamente. Il declino dell’uso del contante non sarà lineare, bensì sarà un fenomeno vieppiù accelerato dall’aumento del numero relativo dei soggetti che non usano il contante materiale sia perché preferiscono l’alternativa della moneta bancaria sia perché avvertono una crescente resistenza a ricevere pagamenti in contanti. Al di sotto di una certa soglia/frequenza d’uso l’abbandono del contante segnala che quel metodo di pagamento non è più efficiente. In altre parole viene meno il network effect, che caratterizza i sistemi relazionali e tipicamente quelli di scambio-pagamento.

Fatte queste premesse, pare quasi scontato affermare che – se si vuole porre rimedio al declino dell’uso del contante – occorre escogitare e progettare il suo omologo digitale. Ciò implica che vale necessariamente un criterio, o principio, di equivalenza funzionale del contante digitale rispetto a quello materiale. La banconota emessa dalla Bc è, a tutti gli effetti, un token, cioè un gettone che porta l’indicazione di un certo numero di unità di valore o di conto (euro, dollari, sterline, yen, ecc.). Essa ebbe origine come debito dell’emittente in ragione della sua convertibilità in prefissate quantità di metallo prezioso. Con la fine del regime di convertibilità delle valute nazionali le banconote emesse dalle Bc mantengono lo status di debito, in quanto contabilmente registrate nel passivo, ma esse non costituiscono più un sostanziale diritto di credito in possesso dei loro portatori. Secondo logica di bilancio, è ovvio che il valore dell’attivo determina quello del passivo, tenuto ben conto del capitale proprio, fattore di garanzia. Volendo insistere sulla natura di debito, si dovrebbe affermare che le banconote sono debiti irredimibili, dei quali non si prevede neppure il rimborso. I portatori dispongono soltanto dell’opzione di acquistare con esse beni e servizi nella giurisdizione di appartenenza oppure valute estere per esercitare il loro potere di acquisto in altre giurisdizioni. Il valore dell’opzione – potere di acquisto – è pubblicamente tutelato da due presidi formali e sostanziali: il primo, che gli Stati riconoscono alle banconote «valore legale», a significare che esse non possono essere rifiutate in pagamento dei debiti; il secondo, che gli statuti delle maggiori Banche Centrali fanno a queste carico dell’obiettivo di contenere la svalutazione della moneta pubblica entro dati limiti (2-3%). Tanto basta per ribadire con fermezza che le banconote della Bc sono indiscutibilmente token o gettoni, identificati singolarmente da una numerazione seriale e fabbricati con tecniche che ne rendono difficile la contraffazione.

La caratteristica storica, tipica e distintiva del contante sta nel fatto che esso contiene, porta con sé, il suo valore di scambio. Ogni banconota è comunque sempre identificabile, verificabile e in linea di principio non riproducibile. Il suo valore è direttamente posseduto dal portatore, il quale può sempre autonomamente trasferirlo a terzi mediante semplice consegna. Per l’agente economico il contante è facilmente accessibile, idoneo a conservare valore nel tempo, è trasferibile in condizioni di prossimità del destinatario senza l’intervento di intermediari e, infine, in condizioni di nontracciabilità (anonimato) dei soggetti interessati. Il menzionato criterio di equivalenza funzionale comporta che il contante digitale deve avere tutti questi caratteri e funzioni, pur con gli adattamenti necessari, conseguenti alla smaterializzazione.

Occorre dunque concepire un dispositivo elettronico, detto portafogli digitale o più comunemente digital wallet, che sia in grado di:

- contenere, accumulare e conservare moneta pubblica digitale, token elettronici;

- ricevere ed effettuare pagamenti e trasferimenti a qualsiasi titolo con i menzionati token;

- prelevare e versare moneta pubblica digitale dai e nei depositi bancari, in modo del tutto analogo ai prelievi/versamenti di banconote presso gli Atm, come è nell’uso corrente.

Secondo il principio di equivalenza rispetto alla moneta cartacea è pure necessario che sussistano due condizioni tecniche:

- che il portafogli digitale funzioni off-line, cioè senza una connessione di rete, e possa trasferire-ricevere moneta a/da altri portafogli in situazione di prossimità, mediante autonoma capacità di diretta connessione interattiva, senza l’intervento di alcun intermediario e senza che l’identità dei soggetti delle transazioni possa essere tracciata;

- che il portafogli digitale non possa invece fare o ricevere on-line trasferimenti a distanza, poiché in tal caso avrebbe funzioni diverse dalla banconota e replicherebbe viceversa quelle della moneta bancaria (infrazione del principio di equivalenza).

L’aspetto della non-tracciabilità, indicato nella prima condizione, è particolarmente delicato e controverso. Se ne discute molto, in particolare per le difficoltà della sua realizzazione tecnica. La problematica relativa, complessa e specialistica, non viene qui affrontata. È comunque logico presumere che la Bc potrà delegare alle banche (o ad altri soggetti) il controllo di autenticità degli euro provenienti dai portafogli digitali. Ciò già avviene nel caso di versamento in banca delle banconote cartacee. Da notare che in questo caso l’identità del soggetto conferente diventerebbe nota alla banca. Questa è l’unica eccezione alla condizione di anonimato del contante, in relazione alle normative vigenti fondate sul principio del know your customer (antiriciclaggio, finanziamento del terrorismo, e altro). Analogo principio dovrebbe valere per gli euro provenienti da portafogli digitali, la cui proprietà-possesso dovrebbe dunque essere riconducibile a persona fisica o giuridica identificabile. Si pone perciò il problema della nominatività del portafoglio digitale, da affrontarsi nel più ampio quadro della privacy.

La seconda condizione indicata è – si ribadisce – assolutamente fondamentale ed essenziale se si vuole veramente che il sistema dei pagamenti a due livelli mantenga i suoi specifici caratteri di funzionamento e di specializzazione dei generi monetari. Se l’intento è quello di porre rimedio al declino dell’uso delle banconote, allora l’emissione pubContributi | 11 blica di token digitali circolanti fra portafogli digitali con le descritte funzionalità definisce con precisione un modello concreto di Cbdc, in quanto contante digitale. Al riguardo va notato che anche la letteratura in materia proveniente dalle stesse Bc non è chiara e non segna precisi confini di funzionamento del contante digitale rispetto al più generale concetto della Cbdc (per esempio si veda l’impianto concettuale del già menzionato Report on a digital euro della Ecb). Questa iniziale imprecisione definitoria genera confusione ed equivoci rispetto alla nozione stessa di Cbdc. La questione è stata ben approfondita dagli studi recenti (Sveriges Riksbank, 2022) della Bc della Svezia, che prima di altre ha iniziato a studiare la problematica del declino dell’uso del contante, particolarmente accentuato in quel paese. Lo studio svedese, assai approfondito e fondato su sperimentazioni, pone peraltro in evidenza che il modello sopra descritto di portafogli digitale contenente token è probabilmente la soluzione tecnica più difficile, con riferimento particolare agli aspetti di identificazione, validazione e autenticità dei token circolanti fra portafogli digitali. Viceversa (pp. 16-21) sembrerebbe più praticabile la soluzione di digital wallet che contengono solo la chiave di accesso alla quantità di token posseduti. Questi sarebbero custoditi da specifici service providers. I proprietari dei portafogli avrebbero la facoltà esclusiva di ordinare a essi i trasferimenti di token. In questo caso il principio di equivalenza non sarebbe rispettato perché i token sarebbero custoditi da terzi e sarebbero trasferibili solo online e dunque anche a distanza. Su questi aspetti di criticità si tornerà in seguito con precisi approfondimenti.

Allo stato attuale si può concludere che il modello del portafoglio digitale contenitore di token – noto con la dizione Cbdc token-based – costituisce idealmente la modalità più corretta di digitalizzazione del contante nel quadro dell’attuale sistema monetario, a condizione che i portafogli digitali siano effettivi contenitori di euro digitali, possano attuare trasferimenti off-line, solo in condizione di prossimità e di anonimato delle parti interessate.

6. La Cbdc account-based: definizione e modelli tecnico-operativi

La Cbdc account-based viene definita come passività monetaria immateriale, digitale, della Bc, collocata in un conto, di cui il titolare può disporre per qualsiasi finalità consentita. Dunque, essa è moneta pubblica digitale, si distingue chiaramente dal contante digitale per la diversa natura e funzionalità del contenitore, appunto un conto presso un soggetto terzo e non un portafogli direttamente posseduto. Per entrare in possesso di tale moneta occorre che il soggetto interessato depositi o riceva nel proprio conto in Cbdc banconote, contante digitale, moneta bancaria o Cbdc proveniente da altro conto. La moneta contenuta nel conto può essere prelevata sotto forma di banconote, di token da caricare su un portafogli digitale e mediante trasferimento a un altro conto in Cbdc oppure a un deposito bancario. Nell’intenzione delle Bc – fra cui certamente la Bce – la moneta pubblica digitale account-based – è una moneta al dettaglio, non solo quindi all’ingrosso, accessibile a tutti, perciò una moneta concettualmente universale o general purpose, priva di qualsiasi specializzazione per tipo di funzione e per segmento di utenza. Tutto ciò è astratta immaginazione che presuppone sia la concreta definizione dell’impianto che fa funzionare operativamente i conti in euro digitale sia la precisazione dei caratteri giuridico-tecnici dei conti in questione.

Architettura della Cbdc account-based. I documenti di fonte «ufficiale» (Ebc, 2020, pp. 36-40, e più in dettaglio Auer, 2021, pp. 10-13) delineano quattro modelli tecnicooperativi, qui di seguito presentati in modo essenziale, per quanto è utile alla successiva discussione. Quindi, d’ora in poi il tema della Cbdc viene declinato in «ambiente euro»

1. Cbdc diretta, al dettaglio, a livello singolo. I conti in euro digitali individuali sono direttamente amministrati dalla Bc, che gestisce i pagamenti al dettaglio. Ogni titolare di conto ha relazione diretta con la Bc e la Cbdc è un credito/diritto nei confronti di questa.

2. Cbdc ibrida, al dettaglio, a due livelli. I conti individuali in euro digitali sono presso la Banca Centrale che ne tiene i registri contabili, mentre l’accesso dei clienti, i pagamenti e la loro operatività sono gestiti da appositi Payment Service Providers (Psp), i quali comunicano le operazioni eseguite per ordine e conto dei singoli clienti alla Banca Centrale che aggiorna i registri e i saldi dei clienti. Quindi la Cbdc è un credito/diritto dei titolari di conto nei confronti della Bc, ma questa non intrattiene relazioni dirette con essi e rende loro solo un servizio di amministrazione contabile.

3. Cbdc intermediata, al dettaglio, a due livelli. I conti in euro digitali sono presso i Psp e da questi amministrati. I Psp gestiscono l’accesso dei clienti e le loro operazioni, registrandole sui relativi conti. Ogni Psp mantiene il saldo complessivo dei conti amministrati presso la Bc, la quale regola i saldi credito/debito all’ingrosso che si formano fra Psp in relazione ai trasferimenti fra conti. Perciò l’ammontare totale e indiviso della Cbdc posseduta dai titolari dei conti di ogni Psp si trova presso Bc. I titolari dei conti mantengono – pur collettivamente – diretta proprietà della Cbdc, cioè delle passività della Bc. Si desume necessariamente che ogni Psp amministri tale giacenza collettiva per conto dei clienti titolari dei conti, in relazione alle disposizioni di accredito/addebito da questi date, comunicando alla Bc le variazioni nette di tale giacenza complessiva. Ne consegue che i titolari di conti non sono creditori di Cbdc verso i loro rispettivi Psp. Nei loro confronti questi ultimi hanno solamente l’obbligo di esecuzione dei mandati ricevuti di eseguire operazioni. Si avverte che la descrizione proposta dalla letteratura citata in apertura del paragrafo è purtroppo meno rigorosa e lascia al lettore l’onere di una più circostanziata interpretazione. Si tornerà in argomento in sede di osservazioni critiche.

4. Cbdc indiretta, anche detta sintetica. Le banche commerciali offrono ai loro clienti propri conti in euro digitali, gestendone tutta l’operatività. Ai saldi di tali conti – che sono debiti in Cbdc delle banche e sono a ogni effetto depositi in conto corrente – deve corrispondere sempre una riserva 100% di Cbdc depositata presso la Bc.

Osservazioni critiche. Sul fondamento di queste definizioni è utile e importante sviluppare alcune osservazioni, che ricevono purtroppo attenzione minore di quanto meritino. Si precisa che – per dare chiarezza all’esposizione delle considerazioni critiche – nel presente paragrafo ci si limita a commentare i modelli operativi ora presentati, mentre i problemi riguardanti l’impatto della Cbdc account-based sull’assetto monetario vigente saranno trattati separatamente in un paragrafo dedicato.

Il primo modello della Cbdc diretta è astrattamente perfetto. Esso prefigura che la moneta digitale pubblica – safe asset per definizione – sia rappresentata in relazioni di conto dirette, individuali e nominative fra ogni titolare di conto e la Bc. Questa non ha peraltro l’impianto organizzativo necessario per selezionare, gestire, monitorare le relazioni individuali per tutti gli adempimenti noti come l’antiriciclaggio, la prevenzione del finanziamento del terrorismo e del commercio illecito di armi. Quindi è generale opinione che questo modello non potrà essere concretamente realizzato e, proprio per questa ragione, si ipotizza la costituzione di un’infrastruttura specifica (i menzionati Psp) provvista di idonea organizzazione.

Il secondo modello della Cbdc ibrida costituisce la soluzione second best, ma pure in questo caso sussistono criticità rilevanti, evocate dalla stessa denominazione di Cbdc ibrida. Infatti la Bc è titolare della passività, saldo in Cbdc, direttamente verso il singolo titolare di conto, ma conferisce ai Psp la delega operativa e perciò il potere di determinare le variazioni di questa passività, del saldo posseduto dal cliente. La criticità di tale soluzione giuridico-operativa potrebbe trovare attenuazione se i Psp fossero strettamente dipendenti dalla Bc. Tuttavia così non si prevede. Anzi, i Psp dovrebbero essere soggetti privati di impresa, autonomi, operanti nel mercato competitivo dei pagamenti, pur nel quadro di una regolamentazione/supervisione rigorosa. Si afferma pure che il modello in questione costituirebbe un esempio virtuoso di collaborazione pubblico/privato. Entrambi i due modelli fin qui considerati presuppongono che i conti siano nominativi e regolati da una relazione contrattuale fra il titolare e la sua Bc. Pare logico intuire che, nel contesto istituzionale dell’Eurosistema, debba intendersi che questa sia la Bc nazionale della giurisdizione alla quale il titolare appartiene. Esemplificando, i cittadini italiani hanno conti in euro digitali presso la Banca d’Italia, mentre le banconote dalla stessa emesse possono appartenere a soggetti di qualsiasi nazionalità, dentro o fuori l’Area dell’euro. La circostanza che gli euro digitali account-based siano «nazionali», a differenza di quelli cartacei, è probabilmente irrilevante ma comunque espone le singole Bc dell’Eurosistema a situazioni diverse, in certa misura «locali».

Il terzo modello della Cbdc intermediata risolve l’equivoco della relazione fra Bc e Psp attribuendo a questi ultimi la piena responsabilità della gestione dei conti in euro digitale. Sembra peraltro che la soluzione di un problema ne faccia sorgere un altro, quello della natura giuridica del conto in euro digitali. Si è detto prima che questo conto è un «contenitore» di Cbdc, formalmente contiene una passività della Bc della quale il titolare del conto detiene la proprietà. Dal punto di vista giuridico questi conti non possono essere definiti propriamente debiti dei Psp nei confronti dei relativi titolari. Questi depositano Cbdc presso i Psp, conferendo agli stessi sia la custodia dell’attività finanziaria sia il mandato ad amministrarla secondo le istruzioni impartite. La stessa Cbdc è presente nel passivo della Bc. Perciò i conti in Cbdc hanno natura giuridica del tutto diversa dai depositi bancari in conto corrente – omologabili come depositi irregolari, secondo l’art. 1782 del codice civile – per i quali il denaro depositato entra in proprietà della banca, che se ne riconosce debitrice verso il depositante e se ne serve per le proprie operazioni. Procedendo nell’analisi comparativa, il conto in Cbdc appare più simile al deposito amministrato in titoli, tipo contrattuale che prevede, a carico della banca, la custodia delle attività finanziarie depositate (proprietà del cliente), la loro amministrazione ordinaria (per esempio l’incasso delle cedole, del capitale a scadenza), la restituzione delle attività presenti nel deposito a richiesta del cliente, l’esecuzione dei mandati conferiti dal cliente (acquisto, vendita, altro). Si fa notare – per doverosa chiarezza – che questa attribuzione al conto in euro digitale della natura giuridica del deposito amministrato contraddice apertamente ciò che si è detto nel precedente punto 3, dove si afferma – coerentemente con la letteratura ufficiale – che la Cbdc è una passività collettiva della Bc verso i titolari dei conti presso i Psp. Si tratta dunque e forse di una figura simile al patrimonio collettivo amministrato dalla Sgr per contro dei titolari delle quote dei fondi comuni di investimento? Mancando chiarezza in proposito, si trae purtroppo la conclusione che la letteratura esaminata elude il problema, evitando di inquadrare giuridicamente la nozione di conto in euro digitali. Suscita infine perplessità l’uso terminologico di «Cbdc intermediata» che implicherebbe – per precisione lessicale – che il Psp intermedi fra Bc e titolari dei conti costituendosi creditore di Cbdc verso la prima e debitore di Cbdc nei confronti dei secondi: invece sembrerebbe chiaro che il Psp svolge esclusivamente un ruolo di prestazione di servizi per l’uso dei conti in Cbdc. È molto importante che i concetti siano correttamente definiti e in particolare che la letteratura ufficiale o/e scientifica sia molto più attenta all’aspetto giuridico e lessicale, niente affatto marginale.

Passando dal primo al terzo modello, va notato che la relazione finanziaria fra Bc e titolari dei conti rimane pur sempre formalmente diretta, poiché questi ultimi sono proprietari della Cbdc, ma con carattere di crescente distanza reciproca.

Il quarto modello, quello della Cbdc indiretta, trasforma radicalmente questa relazione, fra l’altro perpetuando il precedente equivoco lessicale. Infatti, esso prefigura una relazione effettivamente intermediata e non solo genericamente indiretta fra Bce titolari dei conti in Cbdc. Questi ultimi diventano passività delle banche commerciali e acquisiscono pienamente i caratteri dei depositi bancari in conto corrente: i titolari depositano presso la banca commerciale generi monetari vari (banconote, moneta bancaria, token da portafogli digitali, Cbdc proveniente da altri conti) i quali vengono «registrati come Cbdc a credito» dei rispettivi titolari che possono disporne a vista. La banca debitrice in Cbdc ha l’obbligo di costituire e mantenere presso la Bc – diventando verso questa creditrice – una riserva di Cbdc pari al 100% dei saldi correnti dei conti menzionati. I titolari di questi da proprietari diventano creditori di Cbdc, garantiti dalla riserva. In sostanza il modello della Cbdc indiretta realizzerebbe la proposta antica e spesso ripetuta, dagli anni Trenta del secolo scorso (Benes e Kumhof, 2012), del narrow banking. Il modello, comunque, si colloca fuori dell’idea originaria di una Cbdc concepita come passività monetaria, safe asset, della Bc direttamente collocata – a titolo di proprietà – nell’attivo finanziario degli agenti economici, nella duplice forma token-based o account-based. In definitiva, considerando le discusse perplessità e rinunciando a evidenziarne altre, dispiace osservare che la letteratura ufficiale in materia sorvola, elusivamente, su aspetti di fondamentale criticità.

Sul tema specifico del paragrafo pare corretto concludere che, dal punto di vista tecnico, le opzioni reali di istituzione della Cbdc account-based siano limitate al modello ibrido e a quello cosiddetto intermediato, pur ammesso che le incertezze rilevate possano trovare soluzione. Questo pare essere l’orientamento attuale della Bce (Panetta 2022c, pp. 2- 3). A queste ultime si deve aggiungere la considerazione – fin qui ignorata – della sostenibilità del network organizzativo e tecnologico e del business model dei Psp. Infatti questi ultimi e la Bc utilizzerebbero – diversamente dalle banche – circuiti tecnologici tipici della distributed finance e tipicamente blockchains. Un esercizio di fantasia con cui è prudente non misurarsi per ora. Non si possono tuttavia sottacere la delicatezza e rilevanza degli aspetti di criticità principali, con specifico riferimento ai Psp di nuovo concepimento: assetto proprietario, soggetto economico, obiettivi e strategie competitive, regolamentazione e supervisione, definitezza giuridica, modelli e tecnologie di rete, costi. Si tratta certamente di questioni di gran conto le quali sono peraltro logicamente subordinate alla risposta a due domande sostanziali: primo, se l’istituzione di una Cbdc universale corrisponda effettivamente a bisogni, motivazioni e finalità affatto convincenti e, secondo, se e a quali condizioni essa sia compatibile con il sistema monetario attuale.

7. Motivazioni e finalità della Cbdc universale

Apparentemente il quesito delle motivazioni avrebbe dovuto essere logicamente posto ancor prima di parlare dei modelli tecnico-operativi. L’inversione della sequenza è intenzionale perché la rilevata elevata complessità di questi modelli bene chiarisce la necessità che motivazioni e finalità siano ben fondate e assolutamente robuste. Si noti anzitutto che, in questo contesto di ragionamento, il declino dell’uso del contante è ormai argomento marginale. La problematica del contante cartaceo/digitale deve essere affrontata con la soluzione specifica, e non universale, di una Cbdc tokenbased circolante fra portafogli digitali. In altre parole, e per dissipare ogni dubbio: l’istituzione della Cbdc accountbased realizza invece l’idea, il progetto, di una moneta pubblica, legale, digitale e universale che in concreto replica le funzioni della moneta bancaria.

Fatte queste premesse, conviene assumere ancora come fonti autorevoli la Bce, cioè il Report on a digital euro (pp. 10-15) di ottobre 2020 e le ulteriori dichiarazioni di Bindseil (2022, pp. 2-4) considerata l’ufficialità del suo ruolo di Director General Markets Infrastructure and Payment. Dovrebbe già essere ben chiaro dall’esame dei modelli esposti nel paragrafo precedente che la Cbdc account-based ha una preminente funzionalità di pagamento a distanza. In altre parole, se la Cbdc token-based dei portafogli digitali è progettata specificamente per replicare la funzione monetaria tipica del contante, delle banconote, costituendone l’alternativa tecnologicamente innovativa, la Cbdc accountbased replica la funzione di pagamento della moneta bancaria. Di questa evidente relazione competitiva fra moneta pubblica digitale e moneta bancaria, anch’essa digitale, si discuterà a fondo nel paragrafo seguente

Le motivazioni desumibili dalle fonti citate sono qui esposte in forma sintetica, con le osservazioni critiche loro pertinenti.

Sostegno alla digitalizzazione globale. L’emissione dell’euro digitale può essere fattore di sviluppo della digitalizzazione complessiva, e quindi un contributo alla competitività, dell’economia europea. La digitalizzazione è comunque una tendenza alla quale la moneta non può sottrarsi. Interpretando comportamenti e dichiarazioni delle maggiori Bc si comprende che – nonostante i livelli di convinzione nella moneta pubblica digitale siano differenti – ognuna attende la prima mossa dell’altra, circostanza che probabilmente innescherebbe un processo imitativo necessario. Significativo è pure il fatto che il tema della Cbdc è da tempo e con frequenza oggetto di studio e di consultazione alla Banca dei Regolamenti Internazionali, emanazione delle principali Bc. Queste hanno interesse a collaborare poiché il prevedibile impiego delle Cbdc nei pagamenti internazionali richiede che i rispettivi impianti tecnologici siano interoperabili.

Accesso dei cittadini alla moneta pubblica. L’attuale sistema monetario va sempre più centrandosi sulla moneta bancaria privata. La moneta in quanto istituto economicosociale merita certamente lo status di bene pubblico riconducibile all’autorità dello Stato. La sua moneta legale ha una funzione sociale unificante e mantiene un meccanismo di identificazione sociale. Non si trascuri il fatto che la moneta pubblica può essere veicolo e strumento di inclusione economico-sociale, ammesso che la sua tecnologia non costituisca un ostacolo. Le monete private subiscono per definizione le preferenze e le condizioni dei loro produttori. Non si può ammettere che questi, facendo leva su un potente effetto network, diventino di fatto dominanti, a meno che la loro moneta sia efficacemente sottoposta a regolamentazione stringente e in particolare alla convertibilità alla pari nell’unità di conto pubblica della giurisdizione di appartenenza. In proposito i vertici della Bce sostengono chiaramente il ruolo e la centralità della moneta pubblica della Bc (Lagarde e Panetta, 2022).

Presidio del diritto di conversione a vista e alla pari delle monete private. Si è già detto che la convertibilità delle monete private deve essere effettiva, concretamente attuabile, pur permanendo allo stato potenziale. In condizioni di rarefazione della circolazione delle banconote i costi del loro impianto distributivo diventano insostenibili. La Cbdc account-based è in grado di garantire il processo di conversione, in caso di richiesta o necessità, con costi assai minori.

Contrapposizione alla concorrenza potenziale di altre monete. È opportuno prevenire l’ingresso e contrastare l’eventuale uso nell’Area dell’euro di monete estere, cioè Cbdc di altre Bc, di depositi a vista di banche estere, di monete digitali private del tipo cryptocurrency o stablecoin. Questo scenario sembra piuttosto futuribile quasi fantascientifico, pur essendo realisticamente prevedibile per le monete deboli di paesi di dimensioni minori. Pare difficile prefigurare che l’Area dell’euro possa essere in futuro invasa da monete private competitive estranee alla regolamentazione della Bce. Pure la minaccia delle stablecoin pare affievolirsi alla luce dei loro recenti, numerosi, fallimenti (Mizrach, 2022). Non si deve peraltro sottovalutare la possibilità che qualche impresa Bigtech provi a emettere una propria moneta sostenuta da un forte effetto network. Ci ha già provato nel 2019 Facebook con il progetto Libra/Diem (Mottura, 2020), poi abbandonato. Inoltre non si comprende perché si dovrebbe spendere un’arma potente come la Cbdc per contrastare queste innovative monete private, quando il giusto approccio sarebbe quello di regolarle su un terreno di parità con la moneta bancaria. Del resto già esiste presso la Commissione europea la proposta di regolamento Markets in Crypto-assets (MiCa). In materia si leggono le più disparate opinioni. La visione ufficiale è attenta al rischio di instabilità finanziaria (Imf 2021, cap. 2). La European Banking Authority periodicamente emette segnali di allarme volti ad aumentare la consapevolezza dei consumatori e investitori rispetto ai rischi dei crypto-asset. Diversi ricercatori in accademia e nelle istituzioni finanziarie sono favorevoli a una tempestiva regolamentazione sia dei nuovi strumenti (Gorton e Zhang, 2021; Bindseil et al., 2022) sia delle sottostanti tecnologie (Hacken et al., 2019). Altri invece auspicano un equilibrio «ottimizzante» fra pubblico e privato (non-bancario) poiché ritengono che la moneta pubblica offra fiducia e stabilità mentre quella privata offre innovazione ed efficienza (Bolt et al., 2022), secondo una tanto schematica quanto discutibile dicotomia. Si intuisce che in questa varietà di punti di vista hanno buon gioco preconcetti, pregiudizi e inclinazioni ideologiche.

Utilità per la politica monetaria. Ricorre con frequenza l’affermazione che una Cbdc account-based offrirebbe alla Bc nuovi strumenti di politica monetaria e condizioni di maggiore flessibilità. In proposito l’esempio tipico è la possibilità della Bc di governare il livello dei tassi di interesse sulle giacenze di Cbdc nei relativi conti, siano questi amministrati dalla Bc o dai Psp. In particolare si afferma che la possibilità di applicare tassi di interesse negativi consentirebbe di superare il confine attuale del tasso nullo (zero lower bound, nel linguaggio specifico). Il tasso negativo sarebbe tuttavia più una forma di tassazione che di remunerazione. Si consideri pure l’ovvia contraddizione fra l’imposizione di un tasso negativo alla Cbdc e l’affermazione che essa è il safe asset per eccellenza. Il tema è oggetto di vivace discussione e alimenta opinioni divergenti. Comunque la si pensi, pare pretestuoso dire la Cbdc possa essere motivata da esigenze della politica monetaria. La Bc governa il prezzo di scambio della liquidità del sistema, non si vede invece motivo che essa applichi un prezzo – un signoraggio ulteriore – per la detenzione di una sua passività monetaria (obbligatoriamente) presente nei portafogli di tutti gli agenti economici. Non c’è ragione che la Bc remuneri, o men che meno si faccia remunerare da, i possessori delle sue passività monetarie, se non quella di incentivarli a tenerla o a dismetterla in alternativa ad altra moneta. La problematica è complessa, e pure mutevole, a causa del nuovo contesto inflazionistico.

Utilità per la politica fiscale. Una Cbdc account-based costituirebbe un canale diretto ed efficiente per i trasferimenti di moneta fra ogni singolo cittadino – ovviamente se dotato di conto in euro digitali – e le pubbliche amministrazioni. Inoltre essa consentirebbe di attuare la «programmabilità» dell’uso della moneta pubblica, cioè la possibilità di finalizzarne le destinazioni di spesa, per esempio in funzione delle politiche di incentivo economico.

Mitigazione del rischio informatico. Il sistema attuale dei pagamenti è fondato su circuiti elettronici ai quali partecipano le Banche Centrali, quelle commerciali, e altri soggetti che producono sevizi di pagamento. Questi circuiti sono esposti a vari rischi di funzionamento, dall’incidente tecnico, all’evento naturale, all’attacco criminoso. Per quanto tali rischi siano mitigabili con interventi per proteggere e aumentare la robustezza dei circuiti, questi restano comunque in qualche misura vulnerabili. La Cbdc account-based userebbe circuiti propri e diversi – per esempio digital ledger technology e blockchain con controlli accentrati – paralleli a quelli della moneta bancaria, quindi offrirebbe un’alternativa di funzionamento. Ciò implicherebbe facilità e rapidità di passaggio fra circuiti, quindi la loro interoperabilità, ma anche rischi di contagio e duplicazioni di costi di impianto e di funzionamento. Si imporrebbe – per accettare questa motivazione – un’approfondita analisi costibenefici.

Sostegno del ruolo internazionale dell’euro. Si è prima accennato che l’attuale sistema dei pagamenti internazionali presenta inefficienze piuttosto importanti: lentezza, complessità e costi. Ciò impatta negativamente sui regolamenti commerciali, sulle rimesse, sui movimenti di capitali per investimento. La Cbdc account-based risolverebbe gran parte di questi problemi, soprattutto se esse fossero emesse dalle maggiori Bc con modelli tecnologici integrabili (Bis, 2021; Balz, 2021; Boonstra, 2022). Sono evidenti i vantaggi di regolare crediti-debiti internazionali direttamente tramite conti presenti sui libri contabili delle Bc dell’Eurosistema. Non è per nulla facile trarre conclusioni pienamente convincenti in merito alle motivazioni-finalità di una Cbdc universale. Sembra non essere il momento opportuno per chiudere, ma piuttosto quello per aprire il campo a considerazioni che soppesino i pro e i contro. Sembrano esserci motivazioni adeguate ma pure perplessità non facilmente superabili. Le Bc si sono date ulteriori tempi di studio e di consultazione. Non solo. L’importanza del tema è tale da suscitare l’interesse e la preoccupazione anche di istituzioni pubbliche diverse dalle Bc. Per esempio lo stesso Parlamento europeo ha commissionato uno studio importante a qualificati studiosi indipendenti (Brunnermeier e Landau, 2022). Esso muove dall’osservazione che la tecnologia consente oggi di diversificare le tecnologie di processo e di prodotto della moneta così offrendo ai suoi produttori opportunità di specializzazione degli usi, di segmentazione per aree di attività economica e di competizione. Occorre affrontare il quesito politico di quale sia il ruolo della moneta pubblica digitale considerandone gli effetti sull’attività bancaria e sulle relazioni finanziarie fra i soggetti che la usano (privacy). Nello studio in questione affiora continuamente la preoccupazione della criticità della relazione fra Cbdc accountbased, universale, e stabilità del sistema bancario. Anche la House of Lords (2022) ha ordinato e pubblicato un rapporto sulla Cbdc. In esso emergono preoccupazioni analoghe e si esprime peraltro l’opinione che la Cbdc sarebbe una soluzione sproporzionata, sovradimensionata rispetto ai problemi che essa intenderebbe risolvere. Analoga prudenza si coglie negli atteggiamenti del Board of Governors of the Federal Reserve System e della Bank of England (Waller, 2021; Frs, 2022; Cunliffe, 2021).

Per completare il quadro occorre ora esaminare gli effetti della Cbdc account-based universale sull’assetto monetario istituzionale.

8. Criticità della Cbdc account-based

Emissione della Cbdc. Va premesso che l’offerta della Cbdc è a ogni effetto emissione di nuova moneta legale. Venendo al tema centrale dell’operatività della Cbdc account-based bisogna pure chiedersi come essa venga emessa e diventi effettivamente circolante fra le monete che già esistono, cioè le banconote e la moneta bancaria, se si considerano solo gli agenti economici diversi dalle banche. Si noti che la letteratura specifica non si pone questo problema, lo trascura, forse considerandolo irrilevante o meramente tecnico. Dal punto di vista dell’emittente, la Bc, il problema è invece tutt’altro che banale. In qualsiasi spazio competitivo, o mercato, il nuovo entrante deve necessariamente progettare e mettere in atto un’efficace ed efficiente strategia di posizionamento guadagnando quota di mercato a spese degli incumbent, più precisamente dei prodotti concorrenti. Questa strategia riguarda sia i caratteri specifici del prodotto sia la sua distribuzione. Infatti gli agenti economici chiedono funzionalità, convenienza d’uso e accessibilità. Questi passaggi sono tanto elementari quanto essenziali, ma non ricevono concreta attenzione. Soccorre dunque l’immaginazione, la quale può – per lo meno e con prudenza – disegnare gli scenari possibili.

Un primo scenario potrebbe essere quello della «offerta competitiva», già intuibile nelle parole precedenti: la Bc offre propria moneta digitale in cambio di altre monete, cioè di banconote e di moneta bancaria. Nell’un caso essa contribuisce al declino dell’uso del contante, nell’altro al declino dell’uso della moneta bancaria. Con il termine offerta competitiva si intende che la Bc attua una politica di incentivi mirati ad attrarre le preferenze di acquisto degli attuali portatori di monete diverse. Le incisive e rivoluzionarie conseguenze del declino della moneta bancaria saranno considerate in seguito.

Un secondo scenario potrebbe essere definito quello della «moneta legale» nel quale la moneta pubblica digitale viene imposta come mezzo di pagamento obbligatorio e non ricusabile da parte del soggetto titolare di un credito nominale, all’interno della giurisdizione di appartenenza. Questa è una prerogativa dello Stato, il quale ha il potere di pagare (spesa pubblica) e di farsi pagare (imposte) solo con moneta di Bc. Inoltre quest’ultima può discrezionalmente acquistare attività ed estinguere passività pagando con propria moneta legale digitale. Da notare due aspetti: primo, lo scenario in questione presuppone che lo Stato assuma un comportamento autoritario e decisamente coercitivo; secondo, l’uso della moneta bancaria subirebbe una forte contrazione, dovendo gli agenti economici provvedersi di una cassa in Cbdc.

Aspetti giuridico-tecnici del conto in moneta pubblica digitale. In qualsiasi scenario si intenda collocare la moneta pubblica digitale il problema principale da risolvere è – come si è già accennato – la progettazione e la concreta realizzazione dello strumento idoneo a contenere, custodire, registrare, ricevere e trasferire la moneta pubblica digitale: la sua immaterialità comporta evidenti problemi specifici di gestione. A tale strumento – ben diverso dal portafogli digitale del quale si è già detto – è stato attribuito il nome di «conto», intendendosi con questo termine il registro digitale sul quale si legge l’attivo monetario (saldo) del soggetto intestatario e le sue variazioni nel tempo (movimenti). Esso ha ovviamente rilevante valore legale poiché certifica la quantità di moneta pubblica digitale sulla quale l’intestatario del conto ha titolo di proprietà. Al riguardo il lessico riveste importanza essenziale poiché l’attribuzione alla parola «conto» di significati diversi può indurre equivoci gravi. Ad esempio, dato che nel linguaggio bancario corrente con il termine conto si fa spesso riferimento al «conto di deposito», lasciando così intendere che il conto di deposito bancario sia un riferimento analogico corretto, mentre esso non lo è. Nel deposito bancario la banca è proprietaria della moneta accreditata sul conto, il saldo del quale costituisce un debito verso il titolare del conto. Viceversa, il titolare del conto in moneta pubblica digitale è legalmente proprietario dell’attività finanziaria contabilmente rappresentata nel saldo, ma non può esercitarne il possesso, a causa della sua immaterialità, ma deve ricorrere ai servizi di istituti che dispongono dei necessari impianti tecnici. Questa importante distinzione non è purtroppo considerata nella letteratura specifica (anzi si fa confusione come, ad esempio, in Ahya et al., 2021). Il conto viene aperto e amministrato da un soggetto terzo – Bc o Psp – che ha i mezzi tecnici per farlo (connessioni di rete) e ha l’obbligo di restituire all’avente diritto le stesse attività monetarie presenti nel conto, trasferendole in un altro conto o in un portafogli elettronico autonomo, dato che non vi è altra modalità tecnica di consegna virtuale.

I Psp: strategia di posizionamento. In precedenza, esaminando i possibili scenari di ingresso della Cbdc account-based, si è giustamente parlato di offerta di moneta, ma – per quanto appena spiegato – in pratica il problema concreto sarà quello di progettare e impiantare la struttura di offerta dei conti destinati a far funzionare la moneta pubblica digitale e a sollecitare le preferenze del pubblico. Nel paragrafo 5 – valutata l’impossibilità che la Bc possa organizzarsi per gestire milioni di relazioni di conto – si è concluso che la struttura in questione potrà essere costituita solo dalla presenza sufficientemente capillare di Psp. Dunque la strategia di posizionamento della Cbdc sarà loro compito. Da qui hanno inizio non poche complicazioni e difficoltà. Parlare di Psp è come aprire una finestra sull’ignoto. Semplicemente si immagina che cosa dovrebbero fare, ma non si sa che cosa potrebbero essere.

Le leve principali principali sulle quali agisce una strategia di ingresso-posizionamento sono essenzialmente quattro: il rischio dell’emittente, la remunerazione dell’attività monetaria, i servizi a essa connessi, i costi d’uso. Già qui si intravedono alcuni problemi, riguardanti in particolare la ripartizione dei ruoli fra Bc e Psp. Per definizione il rischio emittente della Cbdc è nullo, data la natura dell’istituzione che la produce. I Psp distribuiranno un prodotto altrui non avendo alcuna possibilità di definirne i caratteri. Anche l’eventuale remunerazione della Cbdc ricade in larga parte nelle responsabilità della Bc, per diversi buoni motivi: il tasso di interesse riconosciuto alla moneta (liquidità) è una variabile di politica monetaria; inoltre esso sarebbe uno strumento di concorrenza nei confronti delle banche commerciali, la cui eventuale instabilità coinvolge inevitabilmente la Bc. Inoltre, sempre considerando il binomio responsabilità-potere monetario della Bc, pare poco realistico che i Psp abbiano significativi margini di discrezionalità per articolare tipi di servizi e costi d’uso dei conti in moneta pubblica digitale. Osservato questo, ci si chiede che cos’altro possano realisticamente essere i Psp se non organi tecnicooperativi della stessa Bc. Pare d’altra parte improbabile che l’attività dei Psp possa generare margini reddituali significativi tali da finanziare politiche commerciali incisive.

Il dislivello di rischio fra Cbdc e moneta bancaria, privata e fallibile, diventa più evidente. Qualche considerazione in più e a parte merita l’aspetto del rischio emittente, il quale – essendo nullo nel caso della Cbdc – costituirebbe vantaggio competitivo per il suo offerente. Da un lato si ha motivo di ritenere che l’aspetto in questione, pur importante, sia di fatto sopravvalutato. Muovendo dall’osservazione che gli stessi promotori della Cbdc vorrebbero (Ebc, 2020, p.16; Lagarde e Panetta, 2022, p. 2; Bindseil et al., 2021) che essa fosse una moneta di pagamento e non uno strumento di conservazione e accumulazione di ricchezza, si desume che la sua velocità di circolazione sarà assai elevata. In queste condizioni pare logico pensare che, dal punto di vista sia dei pagatori sia dei prenditori, lo status di safe asset assoluto non rilevi granché. Dall’altro lato, e si tratta di aspetto più insidioso, affermare che la Cbdc esercita la leva competitiva del rischio emittente nullo coincide con l’affermare indirettamente che la moneta di banca – diretta concorrente – comporta invece un rischio emittente istituzionale.

È da tutti riconosciuto che la moneta di banca è esposta al rischio di fallimento del suo emittente, o più precisamente, del suo produttore privato, impresa operante in contesto di mercato con regole competitive. Tuttavia la narrazione storica sviluppata nel paragrafo 2 conferma pienamente che l’Autorità statuale ha progressivamente esteso un’implicita protezione della funzione monetaria delle banche, favorendo la formazione di meccanismi di tutela dei depositanti, predisponendo regolamentazioni a presidio della capitalizzazione della banca, della sua liquidità e della mitigazione dei suoi rischi gestionali e intervenendo nella gestione delle crisi bancarie. Nei fatti, e seguendo linee di convergenza, è venuto consolidandosi un sistema monetario a due livelli nel quale il primo, pubblico, funge da àncora del secondo, privato, dedito alla produzione congiunta di credito e di moneta e di servizi di pagamento, incardinato sulla funzione di riserva della moneta pubblica (riserve bancarie) e sul governo pubblico della stabilità del rapporto fra riserva liquida frazionaria e passivo a vista del sistema. Nell’assetto descritto la stabilità è affidata sia alla convergenza degli intenti del soggetto pubblico e di quello privato sia alla complementarità fra moneta pubblica e moneta bancaria privata, asseverata dalla regola aurea della convertibilità. Il logico proseguimento di questa convergenza è già scritto nei progetti – purtroppo non ancora completati – dell’Unione bancaria europea e del Sistema europeo di garanzia dei depositi. Il quadro comunitario complessivo contempla una relazione di collaborazione fra Bce e banche, pur con maggiore responsabilizzazione di queste, come per esempio previsto dalla Bank Recovery and Resolution Directive (59/2014), peraltro mai interamente applicata. Alla luce di tutto ciò l’introduzione della Cbdc pare distonica e contraddittoria rispetto all’assetto vigente, ben rodato dall’esperienza.

Se la Cbdc account-based prevalesse come moneta universale di pagamento, allora diventerebbe evidente che l’Autorità statuale (Stato e Bc) avrebbe di fatto deciso di invertire l’impostazione collaborativa storicamente seguita e di perseguire, rispetto a prima, intenti «divergenti», orientati a porre fine alla collaborazione Stato-banche, cioè – per dirlo con la dovuta chiarezza – a sostituire la moneta pubblica a quella privata (passivo a vista delle banche) nell’esercizio della sua principale funzione, quella di pagamento

Il progetto della Cbdc account-based – di fatto incompatibile con il sistema monetario a due livelli – ha prospetticamente l’effetto, nella sua realizzazione completa, di scindere la relazione Stato-banche, di riattribuire esclusivamente al primo il potere di «battere moneta» e di gestire pagamenti e di riconfigurare le banche commerciali – che finora fanno credito con propria moneta – come intermediari creditizi che invece fanno credito con fondi prestati da terzi e denominati in Cbdc. L’estinzione della funzione monetaria dalle banche sarebbe letale per il loro modello di produzione, specifica e distintiva tecnologia di processo-prodotto. È utile soffermarsi brevemente su questo aspetto del tutto fondamentale per dimostrare che una Cbdc account-based universale, diffusa ed efficiente, determinerebbe la fine del modello di banca attuale ed è pure utile osservare la dinamica del processo di confronto competitivo fra Cbdc e moneta bancaria, muovendo dall’ipotesi che la prima prevalga sulla seconda. L’ipotesi è affatto realistica e credibile poiché la Bc certamente dispone dei mezzi necessari per sostenere, finanziare e sussidiare l’esecuzione del progetto Cbdc. Fra l’altro qui non ci si sofferma sul problema giuridico, politico ed economico, appena accennato, della liceità e dell’opportunità dell’azione competitiva di un’istituzione statale nei confronti di imprese private.

9. Una dinamica destabilizzante: Cbdc, depositi, riserve e credito bancari. Un esempio numerico

Per illustrare l’effetto potenzialmente distruttivo della Cbdc account-based occorre fare alcune premesse finalizzate a definire il contesto in cui si svolge la menzionata azione competitiva.

Si immagini dunque un sistema bancario normalmente dotato di passività a vista (depositi in conto corrente, DaV) con funzione monetaria e di riserve bancarie (Rb) in misura frazionaria k(< 1), ritenuta dai banchieri idonea sia a mantenere una fisiologica liquidità aziendale sia a rispettare la regolamentazione specifica. Perciò vale l’eguaglianza Rb = k x DaV.

Si ipotizzi inoltre che un certo numero di depositanti trasferisca una quantità Q dai depositi bancari ai conti in euro digitali. Conseguono alcuni effetti assai destabilizzanti dell’equilibrio statico-dinamico del sistema bancario: questo deve trasferire alla Bc una quantità Q dalle proprie riserve; il rapporto Rb/DaV scende sotto il livello k che deve essere tempestivamente ricostituito. Ovviamente l’effetto destabilizzante è direttamente correlato alla dimensione di Q. Si tenga ben presente che l’osservato disequilibrio riguarda tutto il sistema bancario che può attuare due politiche: vendere attività o acquisire passività in contropartita di agenti economici esterni fino a ricostituire il livello necessario di riserve. Entrambe queste azioni sarebbero costose: la vendita affrettata e massiccia di attività comporta in genere la realizzazione di minusvalenze, mentre l’acquisizione rapida di passività comporta in genere costi crescenti. Quindi non solo l’equilibrio finanziario, ma pure quello reddituale, del sistema peggiorerebbero. Vanno sottolineati due effetti particolarmente importanti e distruttivi, legati al fatto che la struttura attivo/passivo del sistema bancario poggia sul modello della «riserva frazionaria»: anzitutto, secondo il modello del moltiplicatore dei depositi e dei crediti (Mottura, 2019), le variazioni sia positive sia negative delle riserve bancarie determinano variazioni di egual segno ma di importo multiplo degli attivi e dei passivi; in secondo luogo, per lo stesso effetto di moltiplicazione, gli effetti si producono molto rapidamente.

Esprimendo lo stesso concetto con lessico più formale: è sufficiente che il trasferimento Q dai depositi bancari in conti Cbdc sia eguale a k x DaV per determinare l’azzeramento delle riserve bancarie del sistema e quindi della sua liquidità primaria, a fronte di una cospicua quantità di depositi a vista – precisamente, (1 – k) x DaV – privati di qualsiasi riserva di liquidità primaria. Una situazione limite che non potrebbe mai verificarsi in pratica: prima dell’esaurimento delle riserve il sistema sarebbe destabilizzato da crisi di liquidità irreversibili se non compensate dall’intervento della Bc. Qui si coglie la natura intrinsecamente paradossale e contraddittoria dell’emissione della Cbdc: la Bc emette nuova moneta legale, il pubblico acquista conti in Cbdc sostituendoli ai depositi bancari, il sistema bancario accumula una posizione debitoria per riserve dovute verso la Banca Centrale, quest’ultima si vede costretta a prestare riserve alle banche – si noti, a parità ogni altra condizione – in misura eguale alla moneta legale digitale creata, al fine di rendere possibile l’incasso del proprio credito dal sistema bancario. Un effetto boomerang o un circolo vizioso. In concreto, l’emissione di Cbdc, se non strettamente controllata scatenerebbe di fatto un bank run, un prelievo massiccio dai depositi bancari, un ritorno a livelli assai elevati della propensione del pubblico a tenere direttamente moneta legale, come ai vecchi tempi. Non solo, la diffusione dei conti in moneta pubblica digitale costituirebbe un gravissimo impedimento alla produzione congiunta di credito e moneta, sulla quale tradizionalmente ha fondamento l’utilità economico-sociale della banca. A chi gioverebbe tutto ciò? Il quadro 1 propone un esempio numerico, pur semplice ma realistico, delle sequenze descritte, e giunge a una conclusione assai importante. Al trasferimento dell’11% dei depositi bancari ai conti in euro digitali corrispondono un forte aumento (dall’11% al 25%) della propensione p del pubblico a tenere moneta legale e una macroscopica diminuzione delle riserve bancarie (-55,6%). Detto in parole diverse, a ogni punto percentuale di diminuzione dei depositi corrispondono ben cinque punti percentuali di diminuzione delle riserve. Tutto ciò è semplice calcolo aritmetico e non deve sorprendere dato che le variazioni della riserva del sistema bancario – essendo frazionaria rispetto ai depositi – determina variazioni multiple del passivo e dell’attivo fruttifero.

10. Alla ricerca di un equilibrio sostenibile fra Cbdc e moneta bancaria

I proponenti e gli studiosi della Cbdc sono consapevoli del rischio di destabilizzazione del sistema bancario e si prodigano nella ricerca degli strumenti utili e migliori per mitigarlo. Al riguardo non si può non evidenziare una questione di principio: considerata la centralità di questo rischio, è accettabile un approccio di mitigazione oppure dovrebbe prevalere un intento di prevenzione? Non si vuole qui entrare nel merito e nella delicata considerazione di costi e benefici. Si noti che il termine «mitigare» presuppone che sia concepibile un assetto stabile di equilibrio sostenibile fra conti in Cbdc e depositi bancari a vista con funzioni equivalenti. Con ciò si ritiene possibile tutelare la stabilità del sistema bancario mediante una costante gestione dell’equilibrio competitivo – intrinsecamente instabile – fra moneta pubblica digitale e moneta bancaria. Nella sostanza, temendo che la diffusione della Cbdc account-based possa avere successo concorrenziale tale da destabilizzare il processo produttivo bancario si teorizza che lo stesso emittente della Cbdc – la Bc – si faccia carico della responsabilità di limitare il potenziale competitivo del proprio prodotto, con adeguati strumenti (Bindseil et al., 2021).

Questi strumenti potrebbero essere essenzialmente tre, anche fra loro combinati:

- l’applicazione ai conti in moneta pubblica digitale di un tasso di interesse mirato a dosarne l’appetibilità relativa;

- l’imposizione di un tetto massimo al saldo, più correttamente alla giacenza, degli stessi conti;

- l’applicazione di tassi di interesse decrescenti, anche nel campo negativo, per scaglioni di importi crescenti di giacenza.

La tesi di fondo è che l’applicazione di tassi di interesse bassi/decrescenti ai conti in euro digitali sarebbe efficace nel disincentivare il trasferimento di fondi dai depositi bancari. È una tesi discutibile poiché – a fronte di una reale percezione da un lato del rischio di insolvenza o/e di liquidità della banca e dall’altro della natura certa di safe asset della Cbdc – i depositanti bancari attuerebbero tempestivamente il trasferimento considerando che l’assenza di rischio emittente «non ha prezzo» o che la minor remunerazione ricevuta corrisponde al costo implicito del premio di assicurazione del capitale trasferito. Inoltre il disincentivo di tasso applicato dalla Bc sarebbe un implicito segnale che essa stessa è consapevole del rischio gravante sui depositanti bancari. Per di più la situazione ipotizzata esporrebbe la Bc a un maggiore rischio di dover intervenire a gestire la crisi delle banche colpite da fughe di depositanti. Ancora una volta si osserva che la gestione della Cbdc account-based provoca una relazione conflittuale – con quale utilità? – fra Bc e banche, in controtendenza con la tradizione consolidata.

A prescindere dall’evidente macchinosità e dall’implicita contraddizione della gestione amministrativa di variabili di mercato, di norma dipendenti dall’equilibrio corrente fra domanda e offerta, l’impostazione suggerita si presta ad alcune osservazioni critiche non marginali:

1. non si comprende perché una moneta priva di natura creditizia, come la Cbdc, possa essere remunerata;

2. i tassi di interesse praticati dalla Bc sono tradizionalmente gli strumenti di cui la stessa si avvale per finalità di politica monetaria e non certo per incentivare i comportamenti di specifici agenti di mercato;

3. non si comprendono le ragioni per le quali i portatori di moneta pubblica digitale – si insiste, ontologicamente infruttifera – dovrebbero subire costi o trarre individuali benefici per la detenzione della medesima;

4. la Cbdc è concepita per essere il safe asset per eccellenza – massima liquidità, assenza del rischio emittente e garanzia istituzionale di stabilità di valore – e non può sottostare a logiche di prezzo;

5. non sarebbe facile differenziare «equamente» la quantità di Cbdc detenibile in conto in relazione alle diverse categorie economiche (famiglie, imprese e pubbliche amministrazioni locali);

6. le stesse condizioni di remunerazione dovrebbero essere applicate sia alla moneta pubblica presente nei digital wallets sia alle banconote, dato che si tratta di monete «equivalenti»

Secondo alcuni studiosi l’impiego degli strumenti proposti penalizzerebbe la funzione di mezzo di pagamento della Cbdc (Baeriswyl et al., 2021).

Di queste osservazioni critiche, e di altre ancora, si potrebbe discutere a lungo. Tuttavia si tratterebbe di una discussione oziosa poiché su di essa prevale l’affermazione assai più concreta, definitiva ed escludente che la quantità di Cbdc account-based emettibile senza rischio di stabilità del sistema bancario è – pur sul fondamento di approssimative ma solide basi empiriche e congetturali – insufficiente a realizzare il network effect, condizione necessaria di successo. Lo Statistics Bulletin della Bce (tav. 1.4.1) indica in circa 15.000 miliardi i «depositi a vista e i depositi con scadenza o con preavviso fino a 2 anni sottoposti a un coefficiente di riserva dell’1%» a fine 2021. Alla stessa data il bilancio consolidato dell’Eurosistema quantifica in circa 3.500 miliardi i conti correnti (riserve in senso stretto) ricevuti dalle istituzioni creditizie e in circa 1.500 miliardi le banconote in circolazione. Se la prima quantità – i depositi sottoposti a riserva, in gran parte costituita da moneta bancaria – venisse convertita in conti in Cbdc nella misura del 10%, i corrispondenti 1.500 miliardi di euro – cioè ben il 43% delle riserve delle istituzioni creditizie, (1.500/3.500) x 100 – dovrebbero essere trasferiti alla Bce, o più esattamente alle Bc dell’Eurosistema. Ne derivano due affermazioni ben sostenibili. Da un lato che un trasferimento di riserve della grandezza indicata avrebbe un effetto molto destabilizzante sui sistemi bancari. Dall’altro, che l’ammontare dei conti in Cbdc raggiunto – si noti, solo circa l’11% dei depositi bancari residui – parrebbe insufficiente a generare il network effect necessario. Si potrebbe obiettare, con riferimento al primo aspetto di criticità, che l’effetto di destabilizzazione potrebbe essere evitato realizzando l’emissione di Cbdc e l’apertura dei relativi conti in tempi sufficientemente lunghi, tali da consentire al settore bancario di fare gli opportuni aggiustamenti in condizioni di sostenibilità dei propri bilanci e senza traumi per il mercato finanziario. In tal caso diviene peraltro più probabile che l’emissione di Cbdc incontri maggiori difficoltà – a causa dell’allungamento dei tempi – a realizzare l’auspicato network effect e a raggiungere la soglia critica di successo.

Il problema riveste la massima importanza poiché sulla sua corretta soluzione si fonda il successo della Cbdc accountbased, soprattutto nel contesto di un’economia bank-based, come quella dell’Area dell’euro. Vari ricercatori propongono modelli sofisticati (Adali et al., 2022; Burlon et al., 2022; Munoz e Soons, 2022). Le opinioni differiscono notevolmente e le stime divergono per quantità assai elevate. Rispetto alle stime fatte qualche rigo addietro – grezze, elementari, ma rigorose nel loro fondamento contabile – quelle proposte dal citato Burlon, applicando un modello assai sofisticato, indicano nel 45% del Pil trimestrale dell’Ue il valore massimo, perciò sostenibile, della Cbdc «emettibile». Tale stima è stata fra l’altro comunicata dalla stessa Bce al Parlamento europeo (Panetta 2022b, p. 3). Questa quantità ammonta a circa 1.350 miliardi di euro e – pur essendo una percentuale minore (9,0%) dei depositi in senso lato (si veda sopra) – costituisce quasi il 39% delle riserve dei sistemi bancari dell’Area dell’euro. È sottintesa l’ipotesi che l’emissione di euro digitali non corrisponda alla conversione di biglietti cartacei, ipotesi del tutto coerente con l’osservazione precedente che il contante esistente è di fatto «incomprimibile». Un trasferimento di tale importo dalle banche all’Eurosistema è destabilizzante e insostenibile, a meno che la Bce non attui politiche compensative importanti – transitorie ma non di breve periodo – con il concreto rischio di perdere il controllo della liquidità. In assenza di tali politiche non si potrebbero evitare gli effetti fortemente restrittivi illustrati nel quadro 1. Il problema dell’effetto destabilizzante della Cbdc sui sistemi bancari è tutt’altro che risolto – ammesso che abbia una soluzione – ed è assolutamente centrale. Queste letture alimentano la convinzione che venga piuttosto sottovalutato il problema della transizione e dell’inevitabile incompatibilità fra la diffusione della Cbdc da un lato e il processo produttivo e struttura attivo/passivo del sistema bancario (si legga l’opinione nettamente negativa di due economisti di peso, Cecchetti e Schoenholtz 2021). Forse qualche, più semplice, simulazione contabile potrebbe essere di grande aiuto per comprendere gli effetti economico-finanziari della Cbdc universale sulle banche.

11. Verso un assetto monetario diverso? Un modello di intermediazione nuovo? Alcune conclusioni

Il progetto dell’emissione di una Cbdc vive un momento di inevitabile incertezza. Si tratta di un cambiamento, potenzialmente forte, che modificherebbe equilibri consolidati, toccando gli interessi di diverse categorie di soggetti e istituzioni economiche. Al limite, il modello della Cbdc account-based universale potrebbe essere la pietra angolare di una riforma monetaria o di un nuovo ordine monetario. La Bce, con il Report on a digital euro dell’ottobre 2020 ha esplicitamente affermato che intende seguire una linea di continuità e ha dichiarato che l’euro digitale sarà eventualmente realizzato subordinatamente a due condizioni: primo, il mantenimento dell’emissione di banconote cartacee; secondo, la conservazione della funzione – così si dice – di intermediazione delle banche. Questa seconda affermazione è assai meno credibile: essa ha infatti suscitato grandi incertezze interpretative e, di conseguenza, studi e ricerche fondati su disparate ipotesi. Al riguardo occorre – se possibile – proporre una visione chiara, la più semplice possibile, su alcuni punti fermi:

- è certo che l’introduzione della Cbdc contribuirà ad aumentare la propensione del pubblico detenere moneta legale rispetto ai depositi bancari. Il moltiplicatore dei crediti e dei depositi dimostra che – a parità di altre condizioni, e in particolare di invarianza della base monetaria (M1) – gli attivi e i passivi del settore bancario comunque subiranno una consistente contrazione. Ciò non potrà essere evitato con sufficiente robustezza da nessun espediente (remunerazione disincentivante, limiti di possesso, ecc.) volto a limitare la propensione del pubblico a tenere moneta legale digitale;

- è certo che una Cbdc account-based svilupperà funzioni monetarie e di pagamento competitive con quelle tipicamente svolte dalla moneta bancaria. Sarebbe una modalità di competizione del tutto particolare, e asimmetrica, dato che uno dei produttori concorrenti – la Bc, istituto pubblico e regolatore dell’attività bancaria – avrebbe il ruolo di «moderare» il confronto competitivo con le banche private, ottenendo esiti «equilibrati». A parità di altre condizioni, alla diminuzione della moneta bancaria corrisponderanno comunque sia una contrazione del credito bancario sia un deterioramento della situazione reddituale delle banche;

- è certo che le banche cercheranno di difendere il loro posizionamento di mercato e attueranno politiche commerciali concorrenziali costose, che non potranno non riflettersi sul costo del credito bancario e ancor più sull’equilibrio reddituale;

- infine, ma soprattutto, è assai probabile che il volume di Cbdc circolante sufficiente per ottenere effetti adeguati di rete e di economie di scala sia superiore alla perdita massiccia di depositi monetari e di riserve di liquidità sostenibile dal sistema bancario, come definito dai caratteri attuali di struttura e funzionamento. In tal caso si imporrebbe un’inevitabile scelta fra emissione della Cbdc account-based e preservazione delle funzioni monetarie e del processo produttivo distintivo del sistema bancario.

Tutto considerato, pare corretto concludere che è ben difficile concepire l’introduzione di una Cbdc account-based universale senza sostanziali modificazioni dei caratteri di struttura e di funzionamento del sistema attuale. L’assetto monetario sarà comunque diverso, comprendendo tre tipi di monete – banconote, conti in moneta legale digitale e depositi bancari monetari – tutte intercambiabili a vista e alla pari, la terza peraltro in aperta concorrenza con la seconda e pure convertibile nelle altre due, a discrezione del portatore. Quindi un assetto diverso, più complesso, meno stabile e più costoso, con la particolarità del tutto speciale che il produttore (la Bce) di una delle monete (quella legale digitale) agisce come gestore della relazione competitiva. Brunnermeier e Landau (2022), rispondendo alla richiesta ufficiale della Commissione economica del Parlamento europeo di studiare implicazioni e prospettive della proposta dell’euro digitale formulata dal menzionato Report della Bce nel 2020, così concludono (p. 9): «Together, those choices [quelle proposte dal Report on a digital euro] open the possibility of radical changes in the current monetary and financial arrangements in the euro area. They could transform the relationship between citizens and money and put the central bank in a completely different position.

There is no indication, however, that this perspective is considered by the Eurosystem or any other EU institution. The study looks instead at a solution of continuity, where the digital euro would be issued as a digital version of cash and conceived to preserve, rather than disrupt, current monetary arrangements.

Even so, the precise design will require delicate trade-offs and choices. As public money, the digital euro will have to be universally accepted and widely accessible. It should be present everywhere. On the other hand, the Eurosystem may not want to evict private money issuers (the banks) or private payment providers. It may not want to gain a monopoly or dominant position in retail payments. The digital euro will thus be placed into a strange and paradoxical position. It should be present everywhere but important nowhere. It should be successful but not too successful».

Parole che pesano. Le Bc dell’Eurosistema sono allineate con la Bce, ma le Associazioni bancarie nazionali esprimono chiaramente dubbi e cautele. Tutte le osservazioni, molto articolate, riguardano in prevalenza la relazione fra l’euro digitale e le banche. Altrove il dibattito pare meno avanzato: sia il Board of Governors della Fed sia la Bank of England si esprimono con maggiore cautela rispetto alla Bce, i cui vertici sembrano prefigurare una relazione costi-benefici meno problematica (Lagarde e Panetta, 2022). Significativo è pure il fatto che la Sveriges Riksbank, prima fra le Bc a parlare di moneta legale digitale, abbia orientato i suoi progetti alla realizzazione dell’e-krona digital wallet mettendo in secondo piano l’idea di una Cbdc account-based. Le conclusioni sono necessariamente interlocutorie e provvisorie. La Cbdc può assumere due forme: token-based, circolante fra portafogli digitali, e account-based, con diverse modalità tecniche.

La prima non comporta problemi particolari di funzionamento rispetto all’assetto monetario attuale, a condizione che venga realizzata con criterio di stretta equivalenza funzionale rispetto al contante. La sua emissione e circolazione andranno – in qualche misura ma in modo limitato – a incidere sull’uso attuale delle altre forme monetarie (banconote e moneta bancaria) nei pagamenti.

Diversamente, la seconda si pone in diretta concorrenza con la moneta bancaria. La loro coesistenza è, a dir poco, problematica. Si possono immaginare due scenari. Il primo – quello attualmente prospettato dalle Bc, e anche dalla Bce, e della cui complessità si è già detto – che prefigura un equilibrio governato fra le due monete. Si tratterebbe peraltro di una soluzione non efficiente e non stabile. Il secondo scenario – futuribile ma non incredibile – di completa prevalenza della Cbdc account-based, di correlata estinzione della funzione monetaria delle passività a vista delle banche (moneta bancaria), e di conseguente rifondazione del processo produttivo bancario. Ammesso che la banca superi la fase critica del cambiamento e della transizione, essa potrà specializzarsi come intermediario creditizio, in senso proprio, assumendo debiti a scadenza, per esempio emettendo obbligazioni e impiegando i fondi raccolti in attività di finanziamento (Grey, 2019). Gli scambi di ogni tipo sarebbero regolati solo da trasferimenti di moneta legale digitale, cioè di Cbdc, che assumerebbe quindi lo status di moneta unica e universale.


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